Skip to main content

Il presepe, palcoscenico per ricominciare

Chi non si emoziona a pensare al presepe della sua infanzia? E perché? La risposta è che ci appartiene, ce lo portiamo dentro, è il palcoscenico per ricominciare.

Fu San Francesco D’Assisi a pensarlo e i gesuiti nel ‘600 a portarlo agli onori. Servì nelle missioni per rispiegare con efficacia gli eventi più importanti del cristianesimo a chi parlava altra lingua, non sapeva leggere e tanto meno scrivere. Associando il suono della parola all’immagine dell’oggetto, del pastore o della lavandaia, creavano l’oggetto-idea: dall’idea di Re magio al senso della nascita di Gesù.

Il presepe nelle case

Oggi nelle case un presepio ha un castello, un mulino, un ponte, la fontana, il pozzo. Nel presepe, palcoscenico da cui ricominciare, agiscono, pensano, amano, soffrono la lavandaia, il fornaio, il pastore, il cacciatore, gli zampognari, vestiti di umiltà e attesa. Inoltre ha lucine dai molti effetti: un apparato luminoso a richiamare il cosmo celato nell’uomo che sarà vivificato dall’Avvento di Gesù.

E chi più dei nonni può raccontare un presepe per filo e per segno? Da pazienti registi trasformano l’allestimento in attesa del Santo Natale in cui ripassare ciò che conta dell’esistenza umana. Con un pizzico di mistero e magia, narrano le differenze tra Dio e Gesù, dell’Origine dell’uomo e della vita degna per ritornare ad Essi. Di come la vita rappresenti il “cammino” dell’uomo sulla terra con i suoi elementi di vita fisica e spirituali della consapevolezza; con i suoi alti e bassi, il giorno-la notte, la semina e raccolto, acqua-neve compendiati in simboli , nell’artificio intellettivo più efficiente per il suo rinviare ad altro, a un’idea altra, a un complesso di idee dal significato più immediato a quello più alto, finalizzati a illuminare i giovani a continuare il viaggio e a percepirsi per quelli che sono, parte dell’universo, degli universi , capaci, a maturazione, di custodirli trasformando il disordine in ordine .

L’importanza del presepe 

Frequentare un presepe come palcoscenico per ricominciare, quindi, vuol dire comprendere la venuta del Salvatore. Egli offre gli strumenti per riportare il caos, la malattia all’ordine, alla guarigione possibili. Vuol dire lasciarsi impregnare dal tempo che cifra l’importanza dell’essere equilibrati nel pensiero e giusti nell’azione. Vuol dire trasmutare l’io in noi e quindi fare agli altri tutto il bene che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Infine vuol dire dirigere lo sforzo dalla orizzontalità alla verticalità nel viaggio di avvicinamento alla partenza, all’origine.

Tutto in un presepe sembra uscito da un libro, il libro da leggere e rileggere. Già con il rituale dell’allestimento è come rinnovare il rito del bene e del male, delle luci e delle ombre, della perdizione e della vita, dell’ignoranza e della consapevolezza.

Nella grotta si vede il film muto, ma eloquente della vita. E’ il portale di passaggio verso il regno del mistero comunque da vivere fino in fondo: uscirne significa gioire, “venire alla luce” lasciando dietro di sé il buio dell’indifferenza e l’oscurità della solitudine. Con la pazienza del bue e dell’asinello si proietta la comunità che conosce la legge mosaica, sa applicarla e sa che deve darsi da fare per essere il buon cristiano che è.

Savino Roggia